Earth Overshoot Day 2019
…il nostro paese, l’Italia, ha terminato le risorse il 15 maggio
29 luglio 2019: Earth Overshoot Day. L’appuntamento di quest’anno è passato sotto silenzio dalla maggior parte dei mezzi di informazione. Considerate le conseguenze di quest’appuntamento non si dovrebbe parlar d’altro, eppure non è così. Ma cosa è questo Overshoot Day? Overshoot vuol dire oltrepassare, quindi l’Overshoot day è il giorno del superamento. È il giorno in cui il consumo di risorse naturali supera la capacità rigenerativa del Pianeta. In altre parole, rappresenta il giorno dell’anno in cui la nostra domanda di acqua, cibo, fibre, legno e assorbimento di anidride carbonica supera l’ammontare di risorse biologiche che gli ecosistemi della terra sono in grado di rinnovare in dodici mesi, la cosiddetta ‘biocapacità globale’. Di regola dovrebbe cadere il 31 dicembre di ogni anno per dare alla Terra il tempo di rigenerare le proprie risorse. Quest’anno la data fatidica è arrivata invece lunedì 29 luglio, battendo il record già negativo del 2018 quando la data coincise con il 1° agosto: non era mai caduta così presto. In realtà questo giorno che potremmo definire di sovrasfruttamento delle risorse naturali del pianeta è diverso per ogni nazione. Diamo uno sguardo alla situazione generale attraverso questa immagine disponibile sul sito https://www.overshootday.org/
In questa poco edificante classifica, rappresentata dal grafico, il nostro paese, l’Italia, ha terminato le risorse il 15 maggio e se tutti gli abitanti della Terra vivessero usando le risorse disponibili per rispondere ai propri fabbisogni come facciamo noi, avremmo bisogno di altre “tre Terre”.
Ancora peggio per gli Usa. Se tutti vivessimo come gli abitanti di quel paese, avremmo bisogno di ben 5 pianeti: negli Stati Uniti infatti ogni cittadino spreca 95 Kg di cibo l’anno e le emissioni dei gas a effetto serra, derivanti dai combustibili fossili, dalla produzione di elettricità e dai trasporti, sono tra le più alte del mondo.
Sebbene esistano molte sacche di resistenza nella cosiddetta opinione pubblica, si sta espandendo la consapevolezza che il sovrasfruttamento delle risorse del nostro pianeta, oltre a creare delle insostenibili situazioni di disuguaglianza nella vita dei suoi abitanti del pianeta, ha prodotto quelle profonde trasformazioni climatiche di cui subiamo le conseguenze quotidianamente. Oltre a sviluppare una conoscenza puntuale della realtà attuale e delle cause che hanno prodotto questa situazione, ciascuno di noi deve contribuire a modificare questo scenario. Non ci si salva da soli, dobbiamo pensare ed agire in modo collettivo per costruire un’alternativa a questo stato di cose.
Qualche giorno fa, a margine di un incontro svoltosi a San Costanzo, abbiamo letto le riflessioni di Francesco Montanari, organizzatore di quell’incontro. Riportiamo integralmente una parte del suo articolo che coglie il nocciolo della questione e pone una serie di domande che deve indurre ciascuno di noi ad interrogarsi per comprendere la vera natura della questione.
“Spesso si tende a ignorare che la battaglia più importante si combatte nell’immaginario collettivo, e si vince anche con i libri, le idee, le canzoni, i discorsi, e perfino con parole nuove o nuovi sistemi di riferimento per mali antichi. Dopo la rivoluzione americana John Adams, il secondo presidente degli Stati Uniti, dichiarò che la guerra era stata combattuta “nelle menti e nei cuori delle persone” prima ancora che le ostilità cominciassero.
Dobbiamo cercare di unire le forze perché insieme dobbiamo provare a rispondere a queste domande:
- Cosa rende intollerabile una cosa tollerata a lungo?
- Cosa porta le persone che non sono colpite direttamente da un problema a interessarsene?
- Cosa spinge i politici a riconoscere che non fare nulla è più pericoloso che fare qualcosa?
Credo che il tema dei cambiamenti climatici si debba affrontare anche da un punto di vista filosofico. Ritengo che abbia ragione Greta quando ci invita a rivedere i nostri stili di vita. Penso allora che il tema della sostenibilità si debba collegare a una riflessione umanistica sul “potere”, il “possedere” e il “progresso”.
Umberto Galimberti in un articolo scrive: “Questa cultura del limite, che deriva dal grande limite rappresentato dall’irreversibilità della morte, mi piacerebbe fosse recuperata dalla nostra cultura che non conosce limite al desiderio, alla volontà di potenza sottesa alle nostre azioni, allo sviluppo tecnologico che ha scatenato il Prometeo che i Greci avevano opportunamente incatenato, per cui oggi la nostra capacità di fare è enormemente superiore alla nostra capacità di prevedere gli effetti del nostro fare. E così ci muoviamo a mosca cieca, e chiamiamo questo pericoloso brancolare: progresso. “
È bene che chi governa prenda atto di questi problemi. Ma sta anche a ciascuno di noi lavorare sul nostro consumo personale e favorire incontri tra scienziati / cittadini / politici nei quali discuterne.”
Casa dell’Ecologia Umana
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