La lezione di Boccaccio

di Alice Rossi

Lo scorso 24 febbraio è stato il mio ultimo giorno di lavoro in classe prima della chiusura dell’Istituto decisa dalle autorità.

Di questi tempi ho ripensato molto e spesso a quell’ultima ora di lezione; mentre infatti la notizia della prossima sospensione scolastica circolava ormai inarrestabile nel bisbiglìo euforico degli studenti, come già l’incredibile punteggio della nazionale di calcio tra i ragionieri fantozziani costretti a sorbirsi la “Corazzata Potëmkin”, ricordo che l’argomento della faticosa e sfortunata ora di italiano era la lettura della descrizione della peste di Firenze nell’Introduzione al Decameron.

Boccaccio dedica ampie pagine al racconto del male che colpì la città nel 1348, indugiando in particolare sulle manifestazioni e i risvolti di carattere sociale. Uno dei principali pericoli che l’autore scorge nel dilagare della pestilenza risiede infatti nella disgregazione della socialità, dei legami affettivi e civili, nella dissoluzione dei vincoli di vicinanza, amicizia e parentela, che deriva dal vivere «da ogni altro separati». In questo senso i dieci giovani che si rifugiano in campagna, scegliendo di trascorrere le ore più calde della giornata nel reciproco racconto di novelle, rappresentano per lo scrittore la ricostituzione di un microcosmo di socialità e la riaffermazione positiva dell’ordine sul caos.

Ebbene, con tutte le dovute distinzioni, non solo tra batteri e virus, le parole del Boccaccio mi hanno richiamato la dimensione temporale che stiamo sperimentando dolorosamente oggi, quella della separazione e della distanza, scomposta nelle sue diverse valenze. C’è infatti una distanza benefica e terapeutica, da osservare e rispettare per la nostra salute, che nondimeno assume i tratti di un isolamento impossibile da sopportare, lacerante, sofferto e disorientante, nel momento in cui ci tiene lontano da chi amiamo.

Tuttavia in questo tempo sospeso tra un prima e un dopo, tutto da scrivere, in cui la Storia ci si riflette addosso e ci chiama ad assumere una posizione sul ruolo che intendiamo giocare nella ripresa post emergenza, è proprio dai vuoti e dai silenzi apparentemente inerti e improduttivi di questa quarantena che ci viene data un’opportunità, una possibilità di agire attivamente, sfondando con il pensiero e la riflessione le pareti delle nostre abitazioni. È l’invito della vita a costruirci un laboratorio creativo privato, in cui reimpostare noi stessi e riprogrammare il domani nella solidarietà e nel sostegno reciproco, per ripristinare in definitiva l’odierna “società della connessione” nel suo primo significato etimologico, che corrisponde alla sua accezione più nobile, il cum nector, ossia l’“abbracciarsi con”, il “legarsi insieme”.

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