Acqua: quanto basta, quanto mi spetta.
di Andrea Fazi
Abbiamo problemi con l’acqua. Magari non lo sappiamo ancora, non chi non abita in campagna. Non ci avremmo fatto caso comunque, ma l’emergenza sanitaria certo ci ha assorbito ogni attenzione.
I dati sono chiari, e i dati sono “solo” numeri, quantità, misure… a Pesaro i primi mesi del 2020 hanno già evidenziato un deficit di 73 milioni, che è stato un anno poco piovoso. Manca il 60% dell’acqua che sarebbe dovuta cadere dal cielo. E non siamo ancora nella stagione secca, anzi, saremmo in una stagione piuttosto generosa con le piogge.
Ma dato che di fake ne sono girate a centinaia in questo tempo, in cui un complottista vale quanto un virologo, anche l’emergenza idrica è un fake? Dopo tutto l’acqua corre dai rubinetti, scende dagli sciacquoni, scorre nelle docce. L’acqua può finire?
Non so quanti abitanti delle nostre città sappiano da dove viene l’acqua che la rete distribuisce. Non so quanti sappiano come funziona il famoso ciclo dell’acqua. Come tante cose cui siamo abituati, tante cose scontate, tante cose talmente ovvie da non richiederci un minuto di riflessione, pensiamo che niente possa andare storto, che niente possa esserci tolto.
Il covid ha dimostrato, ogni oltre dubbio, quanto sia facile il contrario.
Se andando in escursione in luogo senza fonti, sappiamo di avere solo una borraccia di acqua, stiamo attenti a non finirla prima di aver raggiunto un punto di approvvigionamento. Non ce la gettiamo sulla testa per rinfrescarci, perché abbiamo ben chiara la gerarchia dei bisogni.
Gerarchia dei bisogni e consapevolezza della limitatezza delle risorse per soddisfarli. Sarebbe saggio, sarebbe necessario, ma non è così che noi ci relazioniamo con i nostri bisogni e con le risorse.
Non ci dovrebbe nemmeno essere bisogno di arrivare all’emergenza per avere una relazione intelligente con le risorse.
C’è una quantità di acqua occulta in tutti i prodotti che utilizziamo: 15 litri in ogni litro di birra, 100 litri per un kg di carta nuova, 18.900 per chilo di caffè, 5.500 per chilo di lattuga…
Per produrre le cose che soddisfano i nostri bisogni, materiali ed immateriali, abbiamo bisogno di acqua. Che ha un suo ciclo, dentro il quale la quantità prelevabile per i nostri scopi dipende da quanta ce n’è nel sistema, sapendo che NON POSSIAMO prenderla tutta per noi.
Tra i tanti usi dell’acqua su cui come persone singole possiamo poco (in realtà potremmo qualcosa ma è un altro discorso), ciascuno di noi può avere con l’acqua una relazione di maggior rispetto e sensatezza.
Consigli su come “risparmiare” l’acqua domestica ne girano da decenni. Dal frangigetto che permetterebbe ad un nucleo di 3 persone di risparmiare 6.000 litri annui, al chiudere il rubinetto ogni volta che non serve il getto (solo per il lavaggio denti sono 2.500 litri a persona all’anno che non gettiamo via), tutto dipende in realtà dal senso che diamo ai nostri gesti, alla consapevolezza dei nostri gesti, alla comprensione che in un mondo finito ogni spreco è un furto, è un crimine, è una ipoteca sul futuro.
12 litri almeno per ogni getto di sciacquone, di acqua POTABILE, perché è acqua che è stata potabilizzata, dopo essere stata portata al potabilizzatore, dopo essere stata fermata in un invaso, o prelevata da una falda, o intubata direttamente da una sorgente: non è uno spreco?
È evidente che i consumi domestici hanno un peso molto diverso delle attività produttive, di oggetti o di alimenti. Ma i numeri diventano imponenti sommandoli: moltiplicate il risparmio del solo lavaggio denti per gli abitanti di una città.
Immaginiamo ora un invaso cui un fiume esausto – perché esausto è il bacino che lo alimenta non ricevendo piogge da mesi – porta poca acqua. Immaginiamo che quell’invaso debba garantirci sciacquoni, docce, lavaggio verdure, piatti e abiti….
Immaginazione, conoscenza, relazione, responsabilità, consapevolezza.
Un po’ di acqua al fiume perché viva. Un po’ di acqua alla campagna perché produca alimenti. Un po’ di acqua all’industria perché produca beni. Un po’ di acqua per me, per le mie necessità. Quanto basta, quanto mi spetta.
Il mahatma Gandhi1 si trovava con il primo ministro indiano Nehru nella città di Allahabad.
Al mattino, Gandhi stava lavandosi la faccia e le mani. Nehru versava l’acqua da una brocca, mentre parlavano dei problemi dell’India. Impegnati com’erano in questa seria discussione, Gandhi dimenticò che si stava lavando e, prima che avesse finito di sciacquarsi la faccia, la brocca era vuota. Così, Nehru disse: – Aspetta, vado a prenderti un’altra brocca d’acqua, – ma Gandhi rispose: – Cosa? Vuoi dire che ho usato tutta quella brocca d’acqua senza avere finito di lavarmi la faccia? Che spreco! Io uso soltanto una brocca d’acqua ogni mattina. – Smise di parlare e lacrime gli scorrevano dagli occhi. Nehru era scosso:
– Perché piangi, cos’è successo, perché ti preoccupi dell’acqua? Nella mia città di Allahabad ci sono tre grandi fiumi, il Gange, lo Jumnar e il Saraswati, qui non devi preoccuparti dell’acqua! E Gandhi disse: – Nehru, hai ragione, nella tua città ci sono grandi fiumi, ma la parte che mi spetta è soltanto una brocca d’acqua ogni mattina e niente più. Dobbiamo prendere dalla Terra solo ciò che costituisce una nostra assoluta e fondamentale necessità: cose senza le quali non possiamo sopravvivere. La Terra ha abbondanza di tutto, ma a noi spetta soltanto ciò di cui abbiamo realmente bisogno.
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Grazie Andrea Fazi, con tutto il cuore. Per le tue parole sagge e per il tuo profondo amore per la Natura.
Grazie Andrea.
Il tuo articolo fa riflettere.
È da tempo che cerco di non sprecare acqua, perché mi rendo conto della sua importanza.
Grazie a tutti per il tempo che dedicate a scrivere questi articoli che nutrono la mente e il cuore di chi li legge. Per scrivere bene ci vuole impegno, cura, contenuti da condividere, non è facile come ‘condividere’ un meme su un social. È la differenza che c’è tra bere l’acqua tutto d’un fiato e berla a piccoli sorsi.