Svegliarsi e chiedersi “Io chi sono?”
di Francesca Bertoni
E’ questo il consiglio del Dottor Manfuso, medico omeopata: ogni mattina, appena svegli, sedersi sul letto e porsi la domanda “Io chi sono?” per tre volte.
Era estate, sul prato antistante la Casa dell’Ecologia – da lì si poteva ascoltare il Dottor Manfuso che parlava del sistema immunitario e del suo rafforzamento e, allo stesso tempo, ammirare la gradazione di verde della collina che scendeva fino all’azzurro del mare tra Pesaro e Fano.
Non prestavo molta attenzione, devo essere sincera: credo fossi attirata dal paesaggio intorno, la voce dolce e pacata del dottore era per me più una sorta di sottofondo musicale a quella pace che cercavo da giorni e che stavo ritrovando in quel luogo.
Però, poi, a un certo punto è arrivato questo consiglio.
E subito il mio saccente sarcasmo si è risvegliato – mph! – ho pensato – io chi sono…. appena sveglia… figurati… prima il caffè e dopo, casomai, le domande esistenziali!
Non ho il senso del tempo, credo di averlo perso già nell’infanzia, ma questo episodio potrebbe risalire a un anno, massimo due anni fa.
Ebbene, nonostante quella volta abbia licenziato le parole del Dottor Manfuso con la mia antipatica abitudine di buttare tutto in scherzo, quelle parole hanno continuato a risuonare dentro di me, fino a oggi che decido di scriverne. E se per tutto questo tempo non sono andate perse, un motivo ci deve essere, e forse è ora io ci faccia i conti.
Io chi sono?
Io chi sono, mentre fumo l’ultima sigaretta della giornata sul terrazzino e guardo la strada deserta, l’ultima passeggiata del cane e il suo padrone, la ragazzina che torna a casa, le luci delle finestre con altre vite dentro, lo spicchio di lunina quando c’è – qualche sparuta stella – uno degli ultimi treni notturni che passa sulla ferrovia accanto a casa – a volte si riescono a vedere i passeggeri dentro; io chi sono nello smarrimento continuo mentre passo accanto alla gente, entro in negozi, chiedo quanto costa, decido la spesa da fare per il giorno dopo; o chi sono quando telefono a mia madre e mio padre, chiedo loro come stanno, nascondo come sto io davvero; chi sono quando al lavoro rispondo sicura a una richiesta e dentro tremo per la paura di sbagliare; io chi sono quando apro la porta di casa agli amici, sorrido loro, li abbraccio; chi sono mentre faccio colazione e poi ingurgito pillole e qualche volta il sapore del caffè forte mi serve per coprire l’amaro ancor più forte del cortisone tagliato a metà; chi sono quando accarezzo in silenzio i capelli sottili e biondi dei miei nipoti perché non so dire loro quanto li amo.
Perché non ho capito prima, quella volta, quando il verde declinava all’azzurro ed era estate, che quei minuti presi al risveglio, seduti sul letto, a porsi una domanda, erano una specie preghiera, che qualsiasi risposta arrivi – o non arrivi – è una scintilla di verità? Una verità che può durare un niente, un secondo, un minuto, o può accompagnarci per tutta una giornata, o ad accompagnarci può esserci il silenzio, la mancata risposta, ma in ogni caso
in quel momento
si è, si esiste.
Se dovessi pormi in questo preciso istante la domanda “io chi sono?” mi viene in mente il verso di una poesia:
“Io non sono mai tutta, mai tutta
io appartengo all’essere, all’essere
e non lo so dire.”(*)
Forse è il caso che inizi. 1v/die al mattino. Come da ricetta.
(*) da Fuoco Centrale – Mariangela Gualtieri
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Ho il piacere di conoscere Francesca e di poter leggere questo suo articolo che mi ha fatto restare in silenzio per tanti preziosi minuti!Grazie e complimenti