La mia anima vuole carezze

di Monica Febo

La poesia, come la tenerezza, trova misteri dove altri vedono problemi.  (Chandra Livia Candiani)

 

Tempo fa, in una classe di scuola primaria dove stavo lavorando, Lorenzo – 9 anni – creò, senza accorgersi, una metafora con la genialità involontaria dei bambini.  Sull’etichetta del quaderno di matematica scrisse:

LORENZO SATTI   Matematico

Per la O al posto della A, l’etichetta diventa un’insegna e ti figuri immediatamente la porta di ingresso di una casa con la targa in ottone che campeggia in alto a segnalare con solennità:

Qui abita un grande studioso.

La similitudine ti prende per mano tramite il “come” (forte come un leone) mentre la metafora ti catapulta lì (è un leone). La metafora è forte, a volte gentile, a volte feroce; non la senti germogliare, è già un albero quando la vedi.

In un piccolo libro sulla Tenerezza pubblicato dalle edizioni Romena, Chandra Livia Candiani scrive: E’ un po’ timida la tenerezza, ha il muso di un animale dei boschi, è schiva e delicata.

Questo musetto crea fili invisibili di contatto, di vicinanza, che in questi giorni sono più che mai vitali per tutti noi mammiferi.

Chandra vive di poesia, abita a Milano e lì organizza anche laboratori per bambini nelle scuole periferiche dove gli italiani sono una minoranza sparuta. Raramente legge i suoi testi; lascia che siano i bambini a crearne. Li fa sedere in cerchio per definire uno spazio comune, e chiede loro che l’interno resti vuoto per fare nido alla poesia. Poi suggerisce il silenzio, a cui seguirà la raccolta delle parole emerse in quel vuoto. Allora ognuno, nel proprio spazio sulla curva del cerchio comune, lega i fili sottili della poesia.

Luka, dieci anni, albanese               

IL MIO RITRATTO

Il nove luglio nacque il rumore

che faceva molta confusione

con movimento e paura,

l’incertezza eccola qua

sono io.

 

Joy, nove anni, filippina

I miei familiari sognano ad occhi aperti

ma pagano a occhi chiusi.

A noi manca

solo

un tocco di pazienza,

un tocco di pazienza per favore.

 

Denisa, nove anni, Est Europa

L’addio è un vento che passeggia

per fermare l’amicizia.

 

Sebastian, dieci anni, rumeno

Nella testa nella mente

ci sono tanti buchi profondi e grandi

e nel fondo dei buchi

c’è l’addio

che fa soffrire come

un cane ammalato

e nessuno non sa

nessuno conosce

le sofferenze

soltanto noi stessi.      Addio.

Willi, dieci anni

LA MIA CASA INTERIORE

Io sono stonato

e la mia anima

sì, sì, sìssì, sìssì, sìssì vuole carezza

la mia morbida anima.

 

Davide, dieci anni, italiano

L’addio è una conchiglia

che è leggera.

L’addio è molto lungo

ti colpisce nel cuore

come una trivella.

L’addio è ruvido

come un palazzo che cade a pezzi.

 

Da anni Chandra segue una scuola per clown per trovare una mimica accogliente, un sorriso pieno, delle facce mobili e soprattutto abitabili. Con un bambino marocchino appena arrivato in Italia ha passato il tempo del primo laboratorio solo così. Parlava agli altri e lo vedeva spegnersi, allora smetteva, gli faceva un alfabeto di carne, una grammatica di facce e corpo e lui tornava vivo e le rispondeva allo stesso modo. Lei non lo mollava. Quando non è possibile lanciare dei fili, ci leghiamo all’impossibile e ce lo comunichiamo a smorfie, racconta.

Dopo averla incontrata per la prima volta, una bambina cinese ha scritto: Credevo che le poetesse fossero noiose, invece questa aveva una vocina piccola piccola e quando ho visto le sue scarpe ho visto che portava forse il 32, quindi è una principessa.

Una bambina rom la racconta così:

La poesia

è una clandestina

che gira di nascosto

per il mondo.

Sei tu maestra

con lo zaino con le campane

le conchiglie e le piume

che se ti fermano i vigili

cosa diranno.

La poesia di Chandra nasce da bagliori, scottature, lunga familiarità con il vuoto. Per lei, poesia è conoscenza attraverso il sentire. E’ feroce tenerezza. Non chiede di essere forti, ma consapevolmente fragili. Chandra non racconta il dolore finché non sia stato digerito, reso boccone e briciola. Perché non faccia male e non aggiunga male al male, solo per dire: non così.

Quando è in giro per Milano, parla spesso con gli africani che chiedono l’elemosina. Se si fermasse a pensare che sono nel giro del racket, che una moneta non li aiuta, tirerebbe dritto. Lei si avvicina e chiede: Da dove vieni? Da quanto sei qui? E’ stato un viaggio pericoloso?, allora si crea una relazione e la moneta è solo una piccola cosa. Quello che conta è il filo. Quando poi sono i ragazzi a chiederle di rimando: E tu, da dove vieni?, loro non credono che lei sia nata lì e che ci viva da sempre.

Se qualcuno ci accompagna con il pensiero – scrive –  la città si riempie di fili invisibili e cadiamo meno fuori dal mondo. (…) La tenerezza è atletica, nomade. Non è una qualità statica. Va aggiornata. Deve saper balzare, essere flessibile e vigorosa insieme, allungarsi e allargarsi. Che sia coltivabile, non un dover essere. Posso cambiare se mi si chiede di cambiare, se mi si accoglie così come sono, difficile e scomoda come sono, io cambio. Per amore. Per non fare male. Per fiducia.

Un amico raccontò a Chandra un episodio della vita di Mozart bambino. Quando aveva cinque o sei anni, il padre gli organizzò un concerto a cui sarebbe stato presente Haydn (o forse un altro celebre musicista del tempo). Alla fine del concerto, il padre spinse il piccolo Amadeus verso Haydn, sussurrandogli: Chiedigli se gli è piaciuto. Mozart si avvicinò ad Haydn, guardò in su e chiese: Mi vuoi bene?

Non è proibito volere la tenerezza, volersi unici per qualcuno; possiamo scalfire il mito dell’autonomia. Chiedere: Mi vuoi bene?, è come chiedere: – Ci sono per te? Sono al mondo? Resti con me a fare mondo insieme? – (…) L’universo è un lavoro a maglia e ognuno di noi è un punto, che male c’è se chiediamo all’altro punto di fare maglia insieme? Se non lo facessimo, al nostro posto ci sarebbe un buco.

Per chi fosse interessato: Tenerezza. Incontro con Chandra Livia Candiani – a cura di Maria Teresa Abignente, Ed. Romena 2017

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Articolo di Monica Febo su Chandra Livia Candiani.
Le poesie dei bambini mi hanno lasciato senza parole!!! Quanta lucidità, quanta verità, raccontano le cose con una vividezza unica! Che meraviglia!
E poi una frase me la porto con me “Non chiede di essere forti, ma consapevolmente fragili.”
Buona Pasqua!

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