Costruire una nuova realtà

di Paolo Bartolini

Filosofo, formatore e saggista

 

Ho avuto la fortuna e il piacere di essere invitato alla Casa dell’Ecologia Umana per un incontro aperto sul tema – difficile e fondamentale – del sistema di autodistruzione in cui viviamo, e su come uscirne.
Mario e Marina, insieme a tutte le persone che si prendono cura di questo luogo bellissimo, tessono con accoglienza una rete di rapporti all’insegna della ricerca condivisa.

Domenica sera è stato molto chiaro quanto sia necessaria, oggi, una ricerca consapevole che tenga insieme maturazione psicospirituale e sensibilità ecologica. Il passo in più, al quale mi dedico da alcuni anni, è quello di ricordare a me stesso e agli altri l’importanza di saldare questi aspetti dell’umano con la giustizia sociale e climatica. La libertà che ho respirato l’altra sera, di avvicinarci ai nodi più controversi del presente mettendo a fuoco i pilastri di un sistema socioeconomico e culturale astratto e disanimante, mi è parsa abbastanza unica negli ambienti che si occupano di benessere relazionale e di integrazione mente-corpo. È stata per me una piacevole sorpresa.

Troppo spesso, infatti, le vie dell’olismo contemporaneo si accontentano di una perniciosa spiritualità di evasione che, senza alcun effetto di liberazione materiale, invita le persone a rilassarsi per poi tornare a partecipare acriticamente agli ingranaggi di un’assurda e infelicitante civiltà (quella ipermoderna) centrata sul principio ecocida della crescita infinita.

La Casa dell’Ecologia Umana mi sembra diversa. L’interesse per le dinamiche contemporanee, comprese quelle di potere che mettono in forma le potenzialità dei soggetti e imbrigliano il desiderio di trasformazione, fa sì che in questo spazio-tempo centrato sulla cura si possa cominciare a intaccare un po’ di quell’individualismo contemporaneo che aumenta ingiustizie e senso di divisione tra le persone, tra i generi e addirittura tra le specie. Ho apprezzato come Mario, Marina con i loro collaboratori e gli ospiti provino ad abitare questa complessità irriducibile che testimonia di una transizione epocale da un paradigma all’altro.

La Casa dell’Ecologia Umana la penso come un tassello in un mosaico o un filo di un ordito. L’intero, lo sappiamo, è più della somma delle parti. Quante volte ci è stato detto? Contemporaneamente non esiste un Uno generico, astratto, che si esprima fuori dalle situazioni concrete dove incontriamo i reali bisogni dei Molti, la loro sete di vita buona e giusta. Agire nelle situazioni avendo come orizzonte un Intero aperto, in divenire, significa partecipare a qualcosa più grande di noi e farlo con misura, evitando gli estremi della frammentazione e della totalizzazione. Siamo un’avventura aperta e dobbiamo capirlo fino in fondo, ricordandoci di non opporre inutilmente il pensare al sentire, la teoria alla pratica. Il nostro corpo, che è la prima situazione che ci è dato di abitare, è un microcosmo che rispecchia – con le sue gioie e le sue angosce – gli eventi più vasti della storia del mondo. Qualunque impegno civile ed esistenziale è incarnato, situato, e deve esserlo se vogliamo che le intenzioni si realizzino. Perché il gesto e l’azione (non il fare nevrotico di una società soffocata dai cicli simmetrici di produzione e consumo) precedono e accompagnano quella facoltà tutta umana che è l’immaginare altrimenti la realtà.

E per costruire insieme una realtà emancipata dalle miserie del potere, è indispensabile “sentire” la vita, avvertire nell’ultimo sangue (come diceva Rilke) ciò che non può essere eticamente accettato, percepire un richiamo verso nuovi e antichissimi modi di convivere in armonia, rendendo generativi i conflitti e non distruttivi, mettendo la cura al posto dell’incuria e del dominio.

La Casa dell’Ecologia Umana offre non un ritiro dal mondo, anche se la sua splendida posizione tra le colline fanesi invoglia a lasciarci alle spalle la frenesia della vita urbana, ma un’immersione in un campo di possibilità del sentire, della parola e del condividere. Abbiamo bisogno anche di questo per coltivare i semi della bellezza e della giustizia in un tempo storico che spaccia la sua cecità per veggenza.
Grazie, dunque, per questa opportunità.

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